8 giugno
13 luglio
2013

Albano Aniballi
La materia e l’ansia...

A cura di Enrico Maria Davoli

Albano Aniballi: l’umano e l’antropomorfo.

La rappresentazione della specie-uomo è da sempre uno dei nodi essenziali nell’evoluzione delle arti figurative occidentali. Canoni, modelli, misure, la stessa opposizione dialettica tra sacro e profano non avrebbero potuto affermarsi senza una riflessione costante sull’essere umano, la sua struttura anatomica e psichica, i suoi rapporti con l’universo. Una riflessione che, privilegiando ora i valori normativi propri della figura maschile, ora gli aspetti melodici ed armonici insiti in quella femminile, ha esplorato l’immenso territorio degli affetti e delle sfumature interiori che via via, nel corso dei secoli, si affacciavano alla coscienza. Gli ultimi decenni di ricerca artistica hanno rappresentato in questo campo una fase di ricapitolazione ma anche, se ci si passa il gioco di parole, di capitolazione. Capitolazione allo strapotere dei media tecnologici, alla loro asfissiante capacità di dissezionare ed analizzare l’antropomorfo senza però nulla restituirgli in termini di profondità, dignità, calore. Con questo stato di fatto - carenza di umanità, inflazione di antropomorfismo - si misura, e non da oggi, la pittura di Albano Aniballi. La sfida si rinnova ancora una volta in questa mostra, per la quale l’artista ha preparato una serie di immagini femminili che resistono ostinatamente ad ogni domanda, ad ogni tentativo di decifrazione psicologica, esistenziale, morale. Si tratta di apparizioni enigmatiche, idoli le cui fisionomie vengono da lontano, nel tempo e nello spazio. La loro superficie si direbbe costituita da un materiale refrattario, più pietra che carne. Assolutamente estranea a questi dipinti, distante anni-luce come non fosse mai nata, la nozione di “ritratto”. Ma risulta problematico anche parlare di “figura”, nel senso che questa parola riveste nella tradizione europea. Piuttosto si potrebbe parlare di “icona”: cioè un oggetto rituale, ma di una ritualità esotica, insondabile, attraente ma senza alcuna seduzione esplicita. Oltre ai dipinti su tavola, Aniballi espone una selezione di carte dove a dominare è ancora una volta il corpo femminile. Qui l’immagine si impone all’attenzione in modo completamente diverso rispetto a quanto si è appena visto: niente stratificazioni, niente velature, nessuna giustapposizione di materiali e di tecniche, insomma nulla delle qualità che spiccano in Aniballi pittore. Piuttosto un’evocazione, un accenno contenuto e subito lasciato cadere. Tra chi si dedica al disegno intendendolo come preparazione o studio per la pittura, e chi invece come linguaggio rigorosamente distinto ed autonomo, Aniballi si schiera senza esitazioni nel secondo gruppo. Il suo è un procedimento grafico in cui le linee si affastellano e si scompongono leggere, volanti nello spazio, come per creare un controcanto alla gravità e densità dell’immagine dipinta. Se l’arte ha un corpo e un’anima, una parte opaca ed una volatile, allora in quella di Aniballi il peso della pittura è il corpo, la levità del disegno è l’anima.

Enrico Maria Davoli, 2013

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